Come il colonialismo diede il via al movimento globale della VipassanÄ
di Erik Braun¹

Oggi molti pensano che Buddhismo e meditazione vadano insieme, a volte li considerano la stessa cosa. Tuttavia, anche tenendo conto dei TheravÄdin — progenitori del diffusissimo movimento di meditazione di insight (VipassanÄ) — da un punto di vista storico sono stati relativamente pochi i buddhisti che hanno considerato essenziale la meditazione. Al contrario, invece di dedicarsi alla meditazione, la maggioranza dei TheravÄdin e dei buddhisti impegnati delle altre tradizioni, monaci e monache compresi, si sono concentrati sulla coltivazione di un comportamento etico, sulla preservazione degli insegnamenti del Buddha (Dhamma) e sull’acquisizione del buon kamma che deriva dalla generosità . In realtà , pur riconoscendo il ruolo critico giocato dalla meditazione nel risveglio — dal punto di vista theravÄdin non si può realizzare l’illuminazione senza questa pratica — non hanno avuto dubbi sul fatto che si possa condurre un’autentica e valida vita buddhista senza meditare. Molti TheravÄdin, puntando non al risveglio ma, piuttosto, a una buona rinascita, hanno persino sostenuto che la meditazione fosse inappropriata per la nostra epoca degenerata, con l’eccezione forse di pochi che vivono isolati nelle giungle o nelle caverne.

(1870 – 1949)
Da dove arriva, allora, quest’idea, oggi così diffusa, che la meditazione sia al centro della vita buddhista? Questa domanda ci porta alla Birmania di poco più di un secolo fa. Prima di quel momento, da nessuna parte nel mondo s’era palesata una tendenza verso una meditazione di larga diffusione. È pur vero che i maestri thailandesi della Foresta, primo fra tutti Ajahn Mun (1870-1949) e figure di rinnovamento come Anagarika Dharmapala (1864-1933) nello Sri Lanka, giocarono un ruolo importante nella costituzione di una pratica di insight e sostenevano la meditazione laica. Ma nessuno di loro diede inizio a un movimento di massa. Per capire come la meditazione, e nello specifico quella di insight, sia diventata una pratica così diffusa bisogna invece rivolgere l’attenzione alla Birmania.

La visione VipassanÄ concepisce la meditazione come l’applicazione logica e persino necessaria della prospettiva buddhista alla propria vita, laica o monastica che fosse. Lo sviluppo di questa pratica, tuttavia, non fu autoctono, bensì sorse specificamente da un influsso coloniale. In effetti, oggi nessuna tradizione di pratica dell’insight si può correttamente far risalire a prima del tardo XIX o del primo XX secolo.

Sebbene sia oggi un movimento globale, la pratica dell’insight ebbe il suo inizio in un momento di interazione fra un impero occidentale e una dinastia orientale. Addirittura si potrebbe farne risalire le origini al 28 novembre 1885, giorno in cui l’esercito imperiale inglese conquistò il regno buddhista di Birmania. I soldati stranieri che presero il controllo della capitale Mandalay in quel giorno fatidico, distrussero non soltanto un regno ma anche il mondo così come lo
conoscevano i birmani: per loro, l’ultimo re della Birmania, come tutti i suoi predecessori, stava sull’asse di un cosmo che ruotava attorno al trono di Mandalay. Stabile nel punto fermo del mondo, Thibaw Min, che regnò dal 1878 al 1885, aveva come precisa responsabilità la protezione del buddhismo. Qualche giorno dopo la presa del potere da parte britannica, i sudditi birmani videro il loro re circondato da soldati stranieri armati di fucili e trasportato in un modesto carro trainato da buoi fuori dal palazzo reale — che divenne un circolo ufficiali per bere e socializzare — fino alla nave a vapore che lo avrebbe condotto all’esilio. Eppure il trauma di questo evento e i profondi mutamenti sociali che ne conseguirono avrebbero infine condotto alla diffusione mondiale dell’insight.

Diversamente da molte altre aree sotto il loro controllo coloniale, i britannici — i kalahpju, o caucasici, come li chiamavano i birmani — decisero di governare in Birmania direttamente, senza un re, fatta eccezione, naturalmente, per la Regina Vittoria, l’«Imperatrice delle Indie». Ma i birmani non potevano contare sulla regina d’Inghilterra per garantire la funzione più vitale di un regnante birmano: la salvaguardia del buddhismo. Al contrario, la regina Vittoria aveva stabilito che nelle colonie si dovesse seguire una politica che non favorisse alcuna religione. In risposta alla sanguinosa ribellione dei Sepoy indiani del 1857, che si riteneva scaturita da intrighi religiosi, aveva decretato: «Tutti coloro che sono sotto la nostra autorità non interferiscano in alcun modo con le religioni dei sudditi coloniali, pena la nostra massima disapprovazione».

A una sensibilità moderna, questa appare una politica attenta, persino illuminata, volta a garantire la libertà di espressione religiosa. Ma i birmani la intesero come un vero attacco al buddhismo in sé. Il termine pÄḷi più vicino all’espressione «buddhismo» cioè Buddha-sÄsana, che significa, semplicemente, «insegnamento del Buddha», finì per comprendere l’intera tradizione buddhista. Non significò, da allora in poi, solo Dhamma, o insegnamenti buddhisti, ma anche la personificazione di quegli insegnamenti nelle istituzioni buddhiste, anzitutto quella monastica.
Come molti buddhisti, allora come ora, i birmani pensarono che il SÄsana fosse spacciato. Il problema non era se il buddhismo sarebbe stato perduto ma quando. L’obiettivo era, quindi, mantenere il SÄsana in vita il più a lungo possibile, il limite esterno essendo, come si legge nei commentarï, 5000 anni. I buddhisti theravÄda credevano che per mantenere in vita il SÄsana ci volesse un re che generosamente provvedesse con donazioni al mantenimento di monaci e monasteri e che, inoltre, curasse che tutta la popolazione, sia laica sia monastica, mantenesse alti gli ideali buddhisti.
L’atteggiamento di non interferenza degli ufficiali britannici fu quindi visto come un vero insulto e una ferita, soprattutto perché si permise ai missionari cristiani di aprire luoghi di culto in Birmania, con trattamento preferenziale. I birmani non rimasero inerti. Senza più un re, la società laica si organizzò in associazioni e circoli come non si era mai visto prima. Si costituirono commissioni d’esame per i monaci, si raccolsero fondi per mantenere interi monasteri e si approfondirono gli studi del Dhamma per rispondere alle critiche dei missionari cristiani e preservare i preziosi insegnamenti che altrimenti sarebbero potuti scomparire dal mondo.

Questo interesse laico per tutto il buddhismo, intenso e senza precedenti, favorì l’ascesa di monaci di talento che divennero famosi predicatori. Abbassando i ventagli che, tradizionalmente, tenevano coperti i loro volti durante i discorsi di Dhamma, diedero il via a uno stile che fu presto chiamato «a ventaglio abbassato». Questi predicatori raggiungevano un pubblico immenso — a volte anche decine di migliaia di persone — e usavano u n linguaggio semplice e accattivante. Per guadagnare popolarità , alcuni monaci arrivarono ad adottare nomi d’arte presi in prestito da popolari attori, come se un predicatore americano si facesse chiamare reverendo Brad Pitt.
Con la predicazione, crebbe la stampa. Furono creati diversi centri-stampa, dai quali uscirono edizioni economiche di testi che trattavano ogni aspetto della dottrina. Molti di questi riguardavano le sottili filosofie dell’Abhidhamma, la sezione del canone pÄḷi dedicata all’analisi delle caratteristiche della mente e della realtà . Mai fino ad allora la società laica aveva avuto accesso a una così vasta letteratura dottrinale, che veniva letta da tutti, indipendentemente dalla complessità della materia, creando gruppi per studiare gli argomenti più difficili. Gli studi furono presi seriamente, al punto che furono allestiti anche dibattiti pubblici per confrontarsi con gli autori. Ci furono persino falò di libri che denigravano il buddhismo.
Tutta quest’attività rivoluzionò la vita buddhista e preparò il campo alla diffusione popolare dell’insight, a mano a mano che nuovi modi d’essere buddhisti nascevano accanto a quelli tradizionali, sotto la pressione del cambiamento sociale apportato dall’influenza coloniale. Con un senso di identità collettiva più forte, sviluppato nei gruppi di studio della dottrina buddhista, i laici si assunsero il compito di proteggere il SÄsana, una responsabilità che precedentemente era stata del re.
Nella vivace scena politica e sociale birmana dell’inizio del ventesimo secolo, la meditazione divenne un altro strumento per proteggere il buddhismo. I risultati meditativi a livello individuale rafforzavano l’intero SÄsana migliorando il kamma della società . Nello stesso tempo il risveglio, precedentemente considerato non realizzabile in un’epoca così degenerata, cominciò a essere pensato come un obiettivo raggiungibile nella vita presente, attraverso la via della meditazione.

Personaggi-chiave catalizzarono il patriottismo suscitato dal colonialismo inglese e dai missionari cristiani e le indirizzarono, servendosi delle nuove conoscenze acquisite con lo studio, verso la pratica meditativa. Fra questi, spiccava un monaco di nome Ledi Sayadaw (1846–1923), che fu il primo a sostenere la necessità di un rinnovamento della vita laica, che includesse la pratica meditativa. Nei primi anni del ventesimo secolo spiegò la meditazione in termini semplici, in modo che potesse essere inserita in una vita indaffarata nel mondo civile. Famoso per i suoi insegnamenti «a ventaglio abbassato», Ledi Sayadaw era forse più rinomato per i molti testi, accessibili eppure profondi, che aveva scritto sulla dottrina buddhista: per dirla con le parole di uno scrittore birmano, era capace di «spargere l’Abhidhamma come pioggia». Inoltre, collegò lo studio dell’Abhidhamma alla pratica meditativa, in modo che fosse la base per un’osservazione quotidiana del mondo che portasse a una visione liberatoria. Pur invitando a uno studio approfondito, egli sosteneva che anche se un laico studia soltanto la sempre mutevole natura dei quattro elementi (DhÄtu), terra, aria, fuoco e acqua, può ricavarne un grande beneficio spirituale. Ledi Sayadaw affermava inoltre: «Per coloro la cui conoscenza è sviluppata, da ogni cosa percettibile — dentro o fuori di loro, dentro o fuori casa, dentro o fuori paese o città — può sorgere e svilupparsi la visione dell’impermanenza».

Prima di allora, era credenza comune che chi volesse praticare la meditazione di insight dovesse prima padroneggiare gli stati profondi di purificazione mentale (SamÄdhi) detti JhÄna (skr. DyÄna). Ma raggiungere tali sublimi stati di trance richiedeva lunghi periodi di pratica intensiva lontano dal mondo, nelle proverbiali giungle o caverne di montagna. Ora, invece, Ledi Sayadaw sosteneva che non era necessario entrare in quegli stati di profonda concentrazione per ottenere la stabilità mentale necessaria alla pratica dell’insight. Se si riesce a realizzare quegli stati, bene (e Ledi Sayadaw sosteneva di padroneggiarli), ma in realtà al meditante basta un livello minimo di concentrazione per poter tornare, momento dopo momento, all’oggetto della contemplazione.
Questo stato della mente fu definito «concentrazione momentanea» (khanika-samÄdhi) e formò la base della meditazione di insight «pura» o «secca» (suddha-vipassanÄ o sukkha-vipassanÄ), che non richiede la concentrazione profonda. Questo approccio alla pratica era stato trattato in testi importanti, ma fino ad allora nessuno lo aveva promosso su larga scala: Ledi Sayadaw fu il primo a porlo al centro del suo insegnamento. Il messaggio si diffuse: basta con la giungla e le caverne. La meditazione è possibile nelle città .

Qualche anno dopo Ledi Sayadaw, anche un altro maestro monaco, Mingun Sayadaw (1886 – 1955) promosse la meditazione di insight sulla base della concentrazione momentanea, probabilmente riprendendo in qualche modo gli insegnamenti di Ledi Sayadaw. Mingun Sayadaw insegnava ai meditanti a osservare il momento della percezione nell’istante in cui si presenta alle porte dei sensi, in modo da scomporre ogni esperienza in un flusso continuamente mutevole di impressioni. Questa enfasi sull’osservazione delle impressioni sensoriali avrebbe portato, molto più tardi, a una comprensione della mindfulness (sÄti) come ciò che il monaco di origini tedesche Nyanaponika definì «pura attenzione». La focalizzazione sul processo dell’esperienza si sarebbe prestata poi, in Occidente, a un’interpretazione laica di sÄti che l’avrebbe estrapolata dal contesto religioso buddhista.
Mingun Sayadaw è importante perché fu il primo maestro a tenere gruppi di meditazione per laici, a partire dal 1911. Quasi tutte le tradizioni di pratica emerse dalla Birmania traggono origine da lui o da Ledi Sayadaw. Grazie all’impegno di questi maestri, in tutta la Birmania cominciò a diffondersi la vera pratica fra i laici. Ma questi maestri non pensavano che le loro tecniche fossero innovative. Come la maggior parte dei meditanti di oggi, guardavano al Buddha come a un modello e consideravano alcuni dei più antichi testi buddhisti come guide.

(1886 – 1955)
Composti nei secoli successivi alla morte del Buddha, alcuni sutta in lingua pÄḷi come il SÄtipaá¹á¹hÄna Sutta (Discorso sulle quattro introspezioni) e l’ĀnÄpÄnasÄti Sutta (discorso sull’attenzione cosciente all’espirazione e all’inspirazione) furono cruciali per le loro formulazioni della pratica, così come lo sono oggi. Ma questi testi non erano stati utilizzati largamente nella vita laica prima di allora, e inoltre, come ammesso espressamente da maestri di meditazione sia in America sia in Asia, la loro interpretazione può variare molto. Alcuni monaci dello Sri Lanka, per esempio, hanno criticato il metodo di Mingun Sayadaw (così come insegnato dal suo allievo Mahasi Sayadaw [1904 – 1982]) sostenendo che fosse privo di fondamento canonico; in altri termini, che fosse un’invenzione. Proprio come la meditazione di insight di massa cominciò in particolari circostanze, così le varie interpretazioni dei testi-chiave per la comprensione della vipassanÄ si svilupparono in contesti e sotto pressioni simili.
Con il sopraggiungere degli anni Trenta, quando un numero significativo di laici aveva già intrapreso le pratiche insegnate da Ledi Sayadaw e Mingun Sayadaw, la Birmania entrò in un nuovo e turbolento periodo della sua storia caratterizzato da insurrezioni e tumulti politici — causati dall’inurbamento e da fratture interne dei gruppi nazionalisti —, da difficoltà economiche derivanti dalla Grande Depressione, che causò un forte rialzo del prezzo del riso, e da rivolte inter-etniche. Tutto ciò contribuì a rinvigorire la spinta nella direzione della pratica.

(1873 – 1945)
Ledi Sayadaw morì nel 1923, ma negli anni Trenta molti dei suoi allievi assunsero ruoli attivi nell’insegnamento della pratica dell’insight. Di particolare rilievo fu l’insegnante laico U Po Thet, conosciuto come Saya Thetgyi (1873–1945), importante per aver trasformato la meditazione di insight in un fenomeno globale e per essere stato uno dei primi laici autorizzati a insegnare la meditazione VipassanÄ. Ledi Sayadaw approvò persino che Thetgyi insegnasse ai monaci, sconvolgendo completamente le consuetudini che regolavano le relazioni tra laici e monaci.

Il successo pubblico di Ledi Sayadaw portò alla formazione di una scuola di insegnanti laici che seguì Thetgyi. Pur non prendendo gli ordini monastici, Thetgyi effettivamente spostò la propria residenza lontano dalla moglie e dai figli per poter vivere una vita nel celibato, dedita alla meditazione. Il suo principale allievo, U Ba Khin (1899–1971), al contrario, era un uomo sposato, con sei figli e una carriera di dirigente governativo. Alla fine raggiunse la posizione di Contabile Generale nella nuova Birmania indipendente, liberata dal governo coloniale nel 1948. Fondendo vita laica attiva e pratica dell’insight, U Ba Khin andò oltre il suo stesso maestro, verso un’attenzione completamente laica alla meditazione come impegno pratico, persino utilitaristico, tanto che negli anni Cinquanta sostenne che con la pratica della vipassanÄ era possibile eliminare dal corpo i contaminanti radioattivi, una preoccupazione assai diffusa agli inizi dell’era atomica.


Ottenuta l’indipendenza, il nuovo governo birmano, guidato dal primo ministro U Nu, utilizzò il crescente interesse per la meditazione di insight come parte di una più ampia politica tesa a riunificare il paese attraverso il buddhismo. Gli anni Cinquanta furono decisivi per la rinascita del buddhismo in Birmania: il governo tenne un Sesto Concilio buddhista dal 1954 al 1956, un evento che si proponeva di riunire monaci theravÄda da tutti i paesi per verificare che nel canone pÄḷi non ci fossero errori testuali di trascrizione. Di fatto il concilio fu, per lo più, limitato all’area birmana, ma il governo utilizzò l’evento per promuoversi sulla scena mondiale come un paese prevalentemente buddhista. Si stabilirono politiche per fondare centri di meditazione e concedere agli impiegati governativi permessi non retribuiti per meditare.

La pratica dell’insight fu promossa ufficialmente, non solo come mezzo per il risveglio individuale o per la preservazione del SÄsana ma anche come impegno patriottico e fonte di identità nazionale. In meno di settantacinque anni, dal 1886 alla metà degli anni ’50, la meditazione passò dall’essere una pratica limitata a un’élite monastica a un dovere del buon cittadino.

Il lavoro del laico U Ba Khin aveva contribuito significativamente a questa rinascita spirituale, tuttavia U Nu gli preferì il monaco Mahasi Sayadaw, che lo aveva profondamente impressionato quando si erano incontrati qualche anno prima. Nel 1949 il governo nominò Mahasi Sayadaw capo del centro di meditazione Thathana Yeiktha, a Rangoon, che presto divenne il più grande della Birmania. Pochi anni più tardi, nel 1952, U Ba Khin inaugurò il suo International Meditation Center, sempre a Rangoon. Da questi due maestri e dai loro centri si diffusero le pratiche che, separatamente o insieme, hanno dato forma alle pratiche di meditazione di insight in tutto il mondo.


Il metodo di Mahasi fu portato nello Sri Lanka, nel 1956, da maestri birmani, e nello stesso periodo si stabilì in Thailandia. Lo stesso Mahasi Sayadaw viaggiò in Asia e in Occidente, promuovendo ovunque la tecnica di mindfulness che, in mani occidentali, sarebbe diventata un movimento autonomo e laico. U Ba Khin ospitò nel suo centro numerosi studenti, compresi molti che più tardi divennero insegnanti assai seguiti in Occidente come Daw Mya Thwin (conosciuta come Sayamagyi o «Reverenda Madre»), Ruth Denison, Robert Hover e John Coleman.

A partire dal 1956 U Ba Khin ebbe anche un allievo di origini indiane, il famoso maestro S.N. Goenka (1924 – 2013), che tornò in India nel 1969. Goenka giunse a mettere insieme una rete di oltre 120 centri di meditazione in tutto il mondo, che continuano a formare, ogni anno, molte migliaia di meditanti.
Nel momento in cui i maestri birmani di meditazione raggiungevano il mondo, il mondo raggiungeva i maestri birmani: spinti da una ricerca spirituale che rifletteva le inquietudini di molti giovani degli anni Sessanta, Joseph Goldstein, Jack Kornfield e Sharon Salzberg incontrarono tanto gli insegnamenti della tradizione di Ledi Sayadaw quanto di quella di Mingun Sayadaw. Kornfield assorbì anche gli insegnamenti thai della foresta di Ajahn Chah e li riflesse a sua volta nel suo approccio. Questi tre americani divennero quelli che la studiosa Wendy Cadge ha definito i «messaggeri di ritorno», fondamentali nella diffusione della meditazione di insight in America, specialmente con la fondazione dell’Insight Meditation Society (IMS) nel Massachusetts e lo Spirit Rock Meditation Center in California. Ironicamente, l’antica saggezza che cercavano si era già modificata da qualche decennio a causa dell’influsso coloniale.

I modi di intendere la meditazione continuano, naturalmente, a riflettere i bisogni, le speranze e le paure dei praticanti, in tempi e luoghi diversi. Oggi la meditazione si aggira in percorsi assai lontani dalla originaria scena birmana di circa un secolo fa. In America, per esempio, l’enfasi sulla mindfulness (sÄti) come pura attenzione si fonda soprattutto sugli insegnamenti di Mingun Sayadaw, ma allo stesso tempo denota una secolarizzazione che la trasforma in un modello terapeutico interagendo con la psicologia.

Le continue trasformazioni della meditazione di insight portano a un assunto potenzialmente liberatorio: la meditazione non esiste, in realtà . Almeno non come unica entità immutabile. Ci sono invece tante interpretazioni e metodi legati in contesti contingenti che mutano nel tempo. Questo può essere visto come una conferma del fondamentale insegnamento buddhista dell’impermanenza. Se l’impermanenza è intesa come determinata dalle forze causali dell’origine interdipendente, la vita, da una prospettiva buddhista, diventa profondamente ironica. Perché, come dimostra questa sintetica genealogia della meditazione di insight, la liberazione è plasmata dagli stessi eventi e desideri che legano il meditante alla sofferenza della ruota delle rinascite.
NOTA
¹Erik Braun insegna Religioni all’Università di Oklahoma ed è autore del libro: The Birth of Insight: Meditation, Modern Buddhism, and the Burmese Monk Ledi Sayadaw, University of Chicago Press. L’opera ha vinto il premio Toshihide Numata del Center for Buddhist Studies, University of California, Berkeley. Articolo apparso il 14 novembre 2014 su Trycicle. Traduzione dall’inglese di Marco Coccioli.