Made in Japan (saluto un’amica)

Avevo un amico. Mi definiva il tipico italiano. Aveva ragione. Specie quando attaccavo bottone con le bariste al karaoke. Ci divertivamo insieme quando non lavoravamo. Un giorno, alla consueta riunione con la squadra, i suoi superiori, insomma i miei clienti,  gli dissi, anzi gli promisi che in un paio di giorni avrei risolto un problema di documenti mancanti. Non lo risolsi. Figuriamoci! Sapevo bene che non avrei potuto risolvere un bel niente. Per dirla con i leghisti dell’era Bossi: feci il napoletano furbo. Passarono i giorni e l’argomento non fu più ripreso. Finché non arrivò l’ultimo. A un certo punto il mio amico mi chiese se avevo fatto pace con quel suo responsabile. La sorpresa! Gli dissi che non avevo litigato col suo responsabile, ma lui mi disse:

– Oh sì! Gli hai mentito.

Non mi guardava, ma non era arrabbiato. Non mi volgeva lo sguardo, ma non era sprezzante. Finché, mentre sonnecchiavo a Francoforte, compresi: il mio amico giapponese si stava vergognando per me. Non di me, ma per me. Per quella gran figura di merda che avevo fatto col suo responsabile e per la quale non mi ero nemmeno scusato.

Sono stato innamorato in Giappone. Eh sì, anche quello. Un giorno litigammo. Diremmo noi, come fanno gli innamorati. Ebbene, è falso. Tanti innamorati non si comportano affatto così. Ricordo che a un certo punto alzai la voce. Insomma, gridai. Lei non parlò più. Camminammo una mezz’ora, poi ci sedemmo a una panchina. Niente! Silenzio! Mi guardava e poi girava lo sguardo. Poi mi guardava, poi si voltava. Finché chiesi perché facesse così e lei semplicemente rispose:

– Perché hai gridato!

Aveva paura! Per la crocchia unta del Risvegliato, aveva paura! Mi disse che non credeva fossi violento! Oh cazzo! Violento! Capisci, violento? Perché avevo gridato.

Per quanto la cosa possa lasciare straniti, in tutto il mondo estremo orientale e quello buddhista in particolare, la gentilezza rende uomini. Rende onorevoli.
Ancora una volta, la parola. Si tratta del precetto tra i più importanti della cultura giapponese e del buddhismo in generale. Parlare bene! Non essere violenti, non essere pettegoli, non parlare a cazzo solo per arieggiare l’ugola. Ma soprattutto non mentire.
Il bugiardo è paragonato all’assassino, al ladro. Il perfetto grado di liberazione è detto equanimità: l’avere incondizionato desiderio del bene per tutti gli esseri. Ma lo stesso Buddha diceva che, mentre sei impegnato ad arrivare a tanto, è in ogni caso preferibile tenerti alla larga da chi poteva disturbarti o arrecarti danno nella pratica. Tra cui, assassini, ladri, ignoranti, bugiardi. In Giappone il bugiardo è un ergastolano da 41 bis: non c’è bisogno di odiarlo, ma lascia pure che marcisca nel suo brodo amaro. Come il ladro.
Ecco! Questo è il Giappone che mi portai a casa.

Luca Scarano

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